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OTTAVIA NICCOLI, Il seme della violenza. Putti, fanciulli e mammoli nell'Italia tra Cinque e Seicento. Roma-Bari, Laterza, 1995
Recensione a cura di Saura Rabuiti
Sono putti, fanciulli e mammoli i protagonisti del bel libro di Ottavia Niccoli, che indaga sull'età della puerizia, quella che, per moralisti e giudici delle cittàitaliane fra tramonto del Medioevo e prima età moderna, si poneva fra i sette e i quattordici anni; quella che dunque corrisponde alla nostra infanzia.
Sono per lo più i putti, i fanciulli e i mammoli che non appartengono agli strati sociali più elevati. Sono i figli di mercanti e di artigiani, ma anche fanciulli poverissimi, orfani o abbandonati; sono scolari d'abbaco e/o delle scuole di dottrina, ma anche garzoni di bottega o di stalla, pastori, piccoli mendicanti, piccoli vagabondi e piccoli ladri. Sono i fanciulli che popolano in gran numero le strade, le piazze, gli spazi pubblici delle città e annodano numerosi e importanti legami con gruppi di coetanei, con strati della società adulta e anche con l'intera comunità.
Sono i fanciulli che hanno lasciato numerose tracce in varie fonti del tempo, soprattutto nelle cronache e negli atti delle denunce e dei processi. Si tratta di tracce lievi a partire dalle quali Ottavia Niccoli riesce a ricostruire il ruolo sociale che l'età della puerizia riveste nella transizione tra Rinascimento e Controriforma e a restituirci il modo di vivere e di pensare quella specifica età della vita.
La ricerca è organizzata in tre parti, diverse per tematiche, fonti e periodo messo a fuoco.
La prima (cap. 1- 4), basata su cronache e statuti cittadini, prende in esame i rituali urbani che coinvolgono la puerizia nei decenni fra Quattro e Cinquecento. Evoca schiere di bambini e di ragazzi (quasi tutti maschi, perché la strada non è luogo per le fanciulle) che, aggregati in bande, percorrono gli spazi cittadini e che, irrequieti e aggressivi, si affrontano a sassate; uccidono e straziano traditori, congiurati, ebrei, "nemici" della comunità o di una parte di essa; in processione, cantano laudi; comunicano col divino; sono destinatari di apparizioni sovrannaturali. Viene così documentata la violenza di questi fanciulli e la violenza su questi fanciulli, sia strumenti di espressione della violenza che alberga nella società cittadina, "armi rituali della comunità" che simboli di innocenza e purezza, e dunque anche strumenti del volere divino.
La seconda parte (cap. 5 e 6) coglie l'evolversi, nel corso del XVI secolo, dell'immagine del ruolo dei fanciulli, attraverso l'abbondante trattatistica coeva sulla loro educazione e attraverso le numerose disposizioni che li riguardano, presenti in avvisi, gride, bandi. I molti progetti educativi, più o meno articolati e consapevoli, si collocano all'interno del grandioso progetto della Controriforma, che vuole riformare il mondo e la Chiesa disciplinando la società, e proprio a partire dall'educazione dei fanciulli. Il nuovo modello ideale è quello di un fanciullo "ben creato" e "disciplinato," governato nel corpo e nell'anima perché possa essere un suddito obbediente e un cattolico devoto; un fanciullo che i vari progetti (e le scuole di dottrina sono "il primo tentativo coerente" in tal senso rivolto a tutti i fanciulli) vogliono innanzitutto allontanare dalle strade.
La terza parte (cap. 7 - 9) si focalizza sulla città e sul contado di Bologna nel primo Seicento per cogliere, attraverso una fonte specifica (il materiale processuale del tribunale del Torrione), il ruolo della puerizia nella società del tempo e le trasformazioni di questo ruolo rispetto ad un secolo prima, come dire i successi ma anche gli insuccessi dei progetti di disciplinamento.
Il quadro che emerge è quello di una società attraversata, agli inizi del Seicento, da persistenze e cambiamenti. A Bologna e nel suo contado, in tempi di crisi economiche (1619-1622, 1629 - 1633) e di peste (1630), la puerizia è ancora coinvolta, al di fuori della famiglia, in numerose situazioni sociali (diverse a seconda dell'appartenenza sociale dei ragazzi) che vanno dal lavoro al gioco, dalla mendicità al vagabondaggio, dalla sessualità alla violenza e al furto. Ancora la strada rimane l'ambiente principale di vita per molti fanciulli, che ancora partecipano in massa a saccheggi, tumulti, violenze contro "nemici", che ancora fanno a sassate, vengono abbandonati, usati, picchiati. Di contro però ormai le autorità cittadine ed ecclesiastiche hanno un'immagine della puerizia completamente diversa da quella del primo Cinquecento: considerano pericoloso per la società e rischioso per l'anima (e dunque combattono in ogni modo) vivere la fanciullezza in strada, "vagar per la piazza", rifiutare la scuola o la bottega, agire comportamenti violenti che nulla hanno a che fare con la volontà divina.
Attraverso un rigoroso lavoro di ricerca e interrogazione delle tracce del passato ma anche un prezioso lavoro di immaginazione e di interpretazione, il libro documenta la presenza attiva di bambini e ragazzi nella società italiana (soprattutto cittadina) all'inizio dell'età moderna; una società "giovane" all'interno della quale diverse e particolari sono le funzioni sociali svolte dalla puerizia e ricche di significati rituali e simbolici sono le aggregazioni infantili.
Il risultato complessivo è quello di offrire la possibilità di comprendere tutta la variabilità nel tempo, e col variare delle società, di una particolare età della vita umana; di percepire la straordinaria distanza che ci separa oggi da quel modo di essere e di pensare; di mostrare insomma che il passato è il luogo della diversità e che la storia ha aspetti di lunga continuità ma anche di profondo mutamento.
I fanciulli evocati a frotte dal libro non si muovono all'interno delle strutture familiari ma negli spazi aperti delle città. E' questa una prospettiva lontana dalle ricerche pionieristiche sull'infanzia di Ariès, attenta a non applicare ad un'epoca precedente, nel nostro caso l'età moderna, moduli affettivi e di relazione che appartengono alla contemporaneità. In una società e in un tempo in cui strade e piazze, che permettono l'intrecciarsi di molteplici legami sociali, si aprono già intorno ai sei-sette anni, sarebbe infatti anacronistico -scrive l'autrice- "studiare i bambini solo in rapporto alla loro correlazione con le strutture familiari".
I fanciulli che le cronache, gli avvisi, i processi lasciano intravedere non sono fanciulli eccezionali; sono piccoli e comuni attori che hanno lasciato tracce involontarie ma particolarmente utili ad approfondire le dinamiche della società del tempo; a far comprendere la complessità di un periodo storico recuperando il senso di una precisa età della vita in diverse situazioni sociali; insomma a meglio comprendere la complessità del reale. Alle loro spalle traspare, da un punto di vista che la storia scolastica non propone, la società violenta delle città italiane, in cui bambini e ragazzi sono in gran numero; traspare la dura disciplina delle botteghe artigiane, delle officine, dei filatoi; "un paesaggio di campi e prati inframezzati da querceti e castagneti in montagna, solcati da fossi, canali, cavedagne in pianura," un mondo in cui gli adulti coinvolgono i fanciulli nei loro conflitti e nelle loro tensioni sessuali, in cui i più sono sempre sull'orlo della povertà e molto altro ancora.
La ricerca di Ottavia Niccoli è preziosa anche per la scuola, perché può meravigliare i nostri studenti di storia, da molti raffigurati come totalmente appiattiti sul presente e molto annoiati dalla storia scolastica. Può meravigliare non solo per il vivace affresco che riesce a costruire, ma anche perché mostra tutta la distanza fra la ricerca storica contemporanea e la storia scolastica che, inanellata secondo i tempi e le priorità della storia politico-istituzionale fondamentalmente europea, è ormai del tutto inadeguata a rappresentare le molteplicità del reale, a far comprendere la storicità di aspetti della vita che "naturali" non sono ma che tali finiscono per apparire, ad insegnare una storia di tutti, a far sì che tutti possano avere una storia.
22.02.2008