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Stefano Parise, Dieci motivi per andare in biblioteca

Stefano Parise, Dieci buoni motivi per andare in biblioteca, Editrice Bibliografica, 2011 Monza

A cura di Francesca Bellafronte

 

Nella seconda metà degli anni Venti, quando in Europa imperversavano i totalitarismi,  la scrittrice franco-belga Margherite Yourcenar scriveva che aprire una biblioteca è come costruire un granaio per ammassare provviste e difendersi dall’inverno dello spirito. In in tempi di “sonno della ragione” come quelli, significava garantire sopravvivenza all’umana saggezza nell’attesa di una nuova primavera.

            Stefano Parise, autore del libro Dieci buoni motivi per andare in biblioteca, Editrice Bibliografica, 2011, riprende questa metafora per spiegare che, oggi, l’inverno dello spirito è di nuovo alle porte, sebbene in forme nuove, in modo subdolo e strisciante ma altrettanto pericoloso.

L’inverno cui l’autore sembra far riferimento s’identifica con la superficialità e la faciloneria imperanti, che mortificano il pensiero con l’adesione a mode, luoghi comuni e conformismi. Ma anche con l’inibizione delle capacità logiche, ragionative e critiche, che impedisce di selezionare le informazioni, valutare l’attendibilità delle fonti, confrontarle e combinarle per elaborare opinioni e punti di vista propri, migliorando la qualità della vita, personale e sociale.

La principale funzione delle biblioteche pubbliche oggi, spiega l’autore, non può più essere quella di granaio, di mera accumulazione e conservazione del patrimonio dell’ingegno umano, “perché ormai il grano è ovunque”.[1] Viviamo un’epoca in cui il rapido progresso delle tecnologie dell’informazione mette a disposizione di chiunque, adulti e bambini, giovani e anziani, un’impressionante mole di informazioni a flusso continuo, in regime di simultaneità ed in tempo reale rispetto ai fatti cui si riferiscono. Paradossalmente questa sovraesposizione planetaria alle informazioni, che irradia via internet e raggiunge rapidamente tutti attraverso i più moderni ritrovati tecnologici, se nelle popolazioni a regime autoritario ha rafforzato la domanda di libertà, nell’occidente democratico, invece, sembra sortire l’effetto opposto di una democrazia messa in stand by.[2] Basti pensare che una fetta sempre più larga della popolazione, anche istruita, rinuncia ad informarsi per capire, sposando fideisticamente pseudo teorie fondate su stereotipi e pregiudizi, dividendosi in opposte fazioni con spirito manicheo, senza riuscire a distinguere tra propaganda e informazioni scientifiche, tra fonti attendibili e informazioni che rispondono ai dictat del mercato o dei gruppi di potere che detengono il monopolio dei mezzi d’informazione.

            Contemporaneamente si dissolvono preziose occasioni di contatto e di dialogo, d’incontro reale non virtuale, tra persone in carne ed ossa, portatrici di culture “altre”. Il proliferare dei luoghi e dei modi della comunicazione virtuale - pensiamo all’impressionante crescita della diffusione dei social network come twitter e facebook – conduce le persone all’isolamento, allo scambio frettoloso e superficiale di messaggi telegrafici, “cinguettii” all’interno di gruppi per lo più omogenei, in assenza della prossimità fisica e dell’alterità tra persone che si guardano e si sorridono, volti e voci che rappresentano storie, incontri, preziose sedimentazioni di esperienze di vita, come tanti libri di una biblioteca vivente.[3]

Oggi semmai, ribadisce l’autore,“servono persone che sappiano raccogliere, lavorare e trasformare (il grano) in pane”, affinchè tutti e ciascuno possano partecipare alla crescita democratica delle comunità locali e del Paese.

            Di qui la nuova centralità della biblioteca pubblica, eletta a strumento per la salvaguardia e lievito della democrazia, rispetto alla quale questo libro rappresenta un’autentica dichiarazione d’amore. Amore non tanto verso ciò che la biblioteca, purtroppo, nella sconfortante realtà italiana è, e rappresenta ancora, nella maggior parte dei casi – in assenza di un quadro normativo articolato e completo e nella scarsità di pubblici  investimenti -, quanto per ciò in cui essa potrebbe facilmente trasformarsi e diventare, assumendo un’insostituibile funzione di “scuola d’Atene, teatro di un confronto democratico e rispettoso della differenza d’opinioni”.[4]  Il modo in cui l’autore illustra i presupposti di questo “mutamento genetico” delle biblioteche italiane, sul modello di quelle nordeuropee e danesi, denota tutta l’intelligenza e la competenza di chi non solo le frequenta da moltissimo tempo, con passione e dedizione,[5] ma le osserva con curiosità ed attenzione, soffrendone per ogni potenzialità inespressa.

            Non si tratta di investire ingenti risorse nella creazione di nuove strutture, più spaziose ed accoglienti, ma di lavorare alla riconversione dell’esistente, dotando le biblioteche di personale qualificato e competente ma a partire - e qui sta la novità o, meglio, la sfida – dal coinvolgimento diretto e personale dei cittadini, fruitori del servizio, nel pieno esercizio del sacrosanto diritto costituzionale alla partecipazione democratica. Il libro di Parise, infatti, più che rivolgersi agli addetti ai lavori, ai bibliotecari di professione, parla al cuore dei potenziali utenti, riferendo interessanti esempi ed esperienze facilmente trasferibili nei vari contesti, oltre che una piccola rassegna di “informazioni utili”, corredata di riferimenti bibliografici e sitografici, a conclusione di ciascun capitolo.

            Attraversando le sale di questa biblioteca ideale, infatti, il lettore s’imbatte in una molteplicità di persone, caleidoscopiche presenze assurte a simbolo di tutte, ma proprio tutte, le categorie sociali: la giovane ragazza madre che, partecipando al progetto “Nati per Leggere”, scopre con gioia  una modalità, tutta nuova, di relazione affettivo-comunicativa con il suo piccolo, a partire dall’esperienza prenatale della lettura ad alta voce; i nuovi italiani che, incontrandosi in biblioteca per gruppi di ascolto e narrazione biografica, perdono progressivamente l’identità di esuli o profughi in terra straniera, per sentirsi parte integrante di una comunità di persone tutte diverse e tutte eguali; dagli adolescenti agli anziani, utilizzatori privilegiati del servizio di reference, dai dislessici ai carcerati che, dalla fruizione del servizio settimanale del prestito dei libri, traggono l’impressione di libertà e la speranza “di riconquistare, un giorno, il dominio della propria vita o di dargli una parvenza accettabile”.[6]

Il libro, che rappresenta il quarto volumetto dell’interessante collana “Conoscere la Biblioteca”, pur presentandosi nella forma apparente di decalogo, lungi dall’assumere i toni impersonali e prescrittivi è, al contrario, formato di 140  piccole pagine di freschezza. Fresca è la prosa che sceglie il registro narrativo e utilizza un linguaggio accessibile ma colto, immediato ma profondo e meditativo. Fresche le immagini dell’umanità plurale che frequenta la biblioteca.

Una biblioteca diversa dallo standard che conosciamo, quella che ci mostra Parise, alternativa all’idea stereotipata di luogo di custodia di una cultura elitaria e stantia, inaccessibile ai più, monumento all’umana sapienza benché isolato e disertato ma, al contrario, una biblioteca all’avanguardia e, quindi, frequentatissima, pulsante di vita, accogliente e luminosa e, soprattutto, moderna.

Una biblioteca moderna significa una biblioteca che rincorre la modernità  invece di temerla, piegandola alle nuove esigenze comunicative ed informative di un’utenza quanto più variegata possibile: bambini, anziani, italiani o stranieri, maschi e femmine ma, soprattutto, adolescenti e giovani.

Studi accreditati sulle abitudini di lettura della popolazione italiana dimostrano che più della metà degli italiani non legge e che solo il 45% del campione, nell’anno precedente all’indagine, aveva letto almeno un libro per scelta, cioè non per esigenze di studio o lavoro.[7] Sappiamo anche che le donne sono lettrici forti rispetto agli uomini, che al nord si legge più che al sud e, soprattutto, che la curva della consuetudine di lettura subisce una flessione impressionante passando dalla preadolescenza-adolescenza alla giovinezza.

I giovani d’oggi appartengono alla net generation e rappresentano la fascia più difficile da avvicinare alla lettura con i mezzi tradizionali. La staticità della dimensione cartacea del sapere, con la progressione lineare intrinseca al libro, infatti, cozza con la fluidità, rapidità e accessibilità dell’informazione, messa a disposizione dalle tecnologie più avanzate, in una dimensione interattiva e in mobilità, fruibile su smartphone, iPad e netbook. Giovani e adolescenti sono abituati alla condivisione, alla fruizione simultanea di più contenuti accedendo a piattaforme gratuite per lo scambio di materiale autoprodotto, secondo gusti ed esigenze personali anche molto differenti, ma tutti radicalmente diversi da quelli degli adulti. La difficile scommessa cui la biblioteca oggi, per essere davvero “pubblica”, deve far fronte, consiste proprio in una riconversione tecnologica, per fronteggiare la dispersione di quest’utenza “difficile” e la relativa dissipazione di tanti talenti ed intelligenze, derivante dall’impostazione tradizionale, basata su un canale informativo prevalente, se non esclusivo - quello cartaceo -  e su una sclerotica erogazione dei servizi.

Una pubblica biblioteca per essere al passo con i tempi, oltre che autenticamente democratica, non può rinunciare ad interloquire con una così importante fascia di utenti, fingendo di ignorare che il web sta radicalmente modificando, probabilmente in modo irreversibile, il modo di leggere, pensare, scrivere e comunicare delle giovani generazioni.

            La biblioteca in cui Parise ci accompagna è, infatti, una biblioteca di tutti, per tutti: dotata di libri standard ma anche di libri tattili e libri in braille per gli ipovedenti; corredata di libri in italiano, ma anche nelle lingue parlate dalle minoranze all’interno della comunità di cui fa parte; attrezzata di una bella collezione di DVD ma anche di e-book, di audiolibri o di pc con sintesi vocale, per ingrandire i caratteri facilitando la lettura da parte dei soggetti dislessici o con altri tipi di difficoltà di lettura.

Una biblioteca, infine, dove il fruitore del servizio si confonde con l’erogatore, cittadini che mettono a disposizione parte del loro tempo libero consorziandosi nell’associazione “amici della biblioteca” e che, da nuovi mietitori di grano e nuovi panificatori,  si spendono con generosità, accomunati come sono da “un’idea di convivenza in cui prima di chiedersi che cosa ci è dovuto ci si preoccupa di dare almeno o più di quanto si riceve”. [8]

 

 

                                                                                                         

 

 

 

 

 

 



[1] p. 140.

[2] Penso alla funzione svolta dalla rapidità nella circolazione delle informazioni nella cosiddetta “rivoluzione del gelsomino”, nella primavera 2011, iniziata dall’Africa settentrionale.

[3] p. 65.

[4] p. 52.

[5] Stefano Parise è stato bibliotecario dal 1988. Oggi è direttore generale della Fondazione per Leggere – Biblioteche Sud Ovest Milano, oltre che presidente dell’Associazione italiana biblioteche.

[6] p. 115.

[7] I dati che l’autore riporta si riferiscono all’indagine Istat del 2006.

[8] p. 84.

 

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