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Sandra Savogin, Tra Guerra e Resistenza a Mestre.

Sandra Savogin, Tra Guerra e Resistenza. Mestre e il suo territorio dal 1940 al 1945, Cleup Padova 2015.

Recensione a cura di Enzo Guanci

Nel suo primo libro, Rialzare la testa. La lotta di liberazione a Marcon, Meolo e San Michele del Quarto (1943-1945), S. Savogin, ricercatrice dell'Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Iveser), ci aveva raccontato la Resistenza nelle campagne veneziane.

In questo secondo libro continua la sua indagine spostandone il fuoco direttamente a Mestre, il centro della Venezia di terra, al di qua della laguna.

Dal 1926 Venezia era diventata un comune unico con la terraferma, a cui la univa fin dal 1846 il ponte che, poi, in memoria della lotta partigiana sarà battezzato "della Libertà". In quegli anni stava nascendo il polo industriale di Porto Marghera, che aumentò di molto la caratura industriale della città lagunare spostandone il baricentro dalle fabbriche dell'isola della Giudecca alla terraferma, che assunse negli anni un'importanza sempre maggiore. Ben se ne avvidero i mestrini quando, con l'entrata in guerra dell'Italia, iniziarono i bombardamenti della Royal Air Force britannica al porto dei petroli di Marghera con gli attacchi del 13 giugno 1940  e della notte tra il 12 e il 13 gennaio 1941.

L'analisi attenta e intelligente delle fonti fa dire all'autrice che se "sul piano militare esisteva uno squilibrio totale tra la dotazione della Regia Aereonautica e l'aviazione alleata ... le risorse messe in campo in Italia per garantire a terra una protezione dalle devastazioni delle incursioni erano quasi risibili...".

Basti dire, per restare al nostro caso, che " i rifugi a Mestre erano una sessantina, distribuiti per lo più nel centro, a Carpenedo e a Marghera, ma di cui solo una decina classificati come «anticrollo»" (pp. 50 e 51).

Il lavoro della Savogin intreccia sapientemente la storia locale con la storia nazionale in modo che gli avvenimenti del territorio mestrino non restano in superfice ma ne acquistano in comprensibilità piena.

Così, il racconto della vita quotidiana dei mestrini in tempo di guerra, la disfatta dell'8 settembre, il regime di Salò, la lotta partigiana nel territorio non si spiegano in se stessi ma trovano ragione e comprensione nello spazio della nazione e nel tempo del succedersi degli avvenimenti della storia nazionale.

E appassionante resta il racconto preciso e particolareggiato della formazione delle bande partigiane, delle loro azioni militari, della repressione nazifascista, dei rastrellamenti, delle delazioni, ma anche e soprattutto dell'appoggio della popolazione, senza il quale sarebbe stata impossibile la guerriglia in pianura specialmente nel terribile inverno del 1944.

Per dare un'idea delle questioni affrontate ne ricordiamo qui solo tre : la «scelta», la «delazione», la «liberazione».

La scelta. Dopo averci messo sull'avviso che la renitenza alla leva nell'esercito repubblichino non significava automaticamente diventare partigiano, la scelta tra rispondere alla chiamata della RSI o farsi renitenti viene presentata dall'autrice con le vivide e semplici parole di un partigiano da lei stessa intervistato:

"Io compii 18 anni l'11 novembre del 1943 ed il 18 novembre ricevetti la chiamata. Io andai al distretto militare, ricevetti le 250 lire, che sapevo davano alle reclute e, trascorsi dieci giorni di licenza, non mi presentai. Io ero tra quelli che avevano già deciso cosa fare dopo il 25 luglio e dopo la dichiarazione di Badoglio e l'entrata dell'Italia nella cobelligeranza. I Tedeschi avevano già attuato l'invasione perciò chi riceveva la cartolina doveva decidere. Ma chi poteva decidere? Molte delle truppe che combatterono con l'esercito di Salò era fatto di giovani che non sapevano da che parte schierarsi, non avevano perfetta coscienza della situazione..."

(p. 90)

La delazione. "Molti arresti erano dovuti all'attività di delazione che fu purtroppo uno dei tratti distintivi della lotta di Liberazione: ricorda Mimmo Franzinelli [cfr. Delatori, A. Mondadori, 2001] che la denuncia degli antifascisti era ampiamente presente anche nel ventennio, ma che dopo l'8 settembre divenne dilagante, esprimendo ‘lo sfacelo, politico, civile e sociale' del paese. La Wermacht e le SS offrivano, attraverso bandi, apposite ricompense ... assoldarono anche cittadini che si vendevano anima e corpo alle forze di occupazione, per svolgere sistematicamente il compito di informatori anche infiltrandosi nelle formazioni partigiane. Analogamente l'apparato repressivo della RSI si servì di spie, che agivano talvolta per convinzione ideologica, ma le polizie speciali e le brigate nere attraverso gli arresti e le torture indussero alcuni partigiani al tradimento..." (p. 174)

E nella pagina successiva Savogin ci racconta i particolari del tradimento di tre uomini della brigata "Mazzini" che fu devastante per i resistenti di Treviso, del doppio gioco condotto da una spia fascista che riuscì a infiltrarsi nel battaglione Felisati di Mestre e della caccia alle spie condotta dai partigiani senza ometterne la violenza.

La liberazione. Premesso che

"la ricostruzione degli avvenimenti delle giornate insurrezionali risulta particolarmente complessa per la molteplicità dei soggetti in campo, che hanno lasciato resoconti in più occasioni contraddittori ed espressione di punti di vista diversi e valutazioni differenti" (p. 210)

Savogin ci racconta per filo e per segno come la mobilitazione operaia e il movimento partigiano salvò il porto e gli impianti industriali disinnescando le mine poste dai tedeschi, tra convulse trattative condotte da tutti i soggetti in campo: il CLN innanzitutto, il Comandante del Presidio Repubblicano di Mestren e il Comandante della Platzkommandatur tedesca.  Finalmente la sera del 28 aprile 1945 il CLN mestrino si insediò nella sede del Comune. La mattina del 29 il CLN in omaggio ai caduti per la libertà deliberò di intitolare il centro della città, la Galleria e la Piazza "Ettore Muti" rispettivamente a Giacomo Matteotti  e al partigiano Erminio Ferretto, entrambi uccisi dal fascismo, il primo all'inizio, l'altro al termine del ventennio fascista.

La piazza e la galleria si chiamano ancora così.

 

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